domenica 2 novembre 2008

L'Edilizia sociale a Roma e il nuovo mondo

L’aggressione subita in agosto da una coppia di turisti olandesi in un casale abbandonato dell’Agro romano ha riproposto il tema del rapporto tra città e campagna nell’area metropolitana della capitale, rimasto da sempre un nodo non sciolto nel dibattito pubblico cittadino, e delle nuove funzioni che gli spazi aperti potrebbero svolgere non più soltanto per migliorare la qualità della vita dei cittadini ma soprattutto per avviare concreti progetti di inclusione sociale e fronteggiare la crisi economica che incombe.

E’ stata l’Assessora all’Agricoltura della Regione Lazio, Daniela Valentini, a lanciare immediatamente l’idea di un piano per rendere vive le campagne urbane attraverso la creazione di una fitta rete di attività sociali e civili nelle aziende agricole attrezzandole per produrre congiuntamente beni alimentari di qualità e servizi alle fasce più deboli della popolazione. Vendita diretta di alimenti aziendali a prezzi contenuti nei luoghi di produzione e nei mercati rionali; percorsi educativi in collaborazione con le scuole per scoprire gli intrecci millenari tra cultura rurale e tesori naturalistici, archeologici e architettonici; attività riabilitative e terapeutiche mediante l’utilizzo di processi produttivi agricoli con cui le persone in difficoltà ridanno un senso alla propria esistenza. Insomma una campagna viva per una metropoli da vivere.

Il tema era già emerso in occasione dell’elaborazione del nuovo Programma di Sviluppo Rurale (PSR) della Regione Lazio, che nella originaria stesura prevedeva la possibilità di incentivare l’agricoltura di servizi nelle campagne di Roma. Ma nel corso del negoziato con la Commissione europea per l’approvazione del documento programmatico è purtroppo prevalsa una visione arretrata dei rapporti tra città e campagna, che non ha permesso di cogliere le nuove funzioni che svolgono le aree agricole periurbane. E così oggi il bando regionale del PSR per la presentazione dei progetti di agricoltura multifunzionale è precluso alle aziende agricole romane.

Da questa difficoltà nasce la proposta della Giunta Marrazzo di varare un bando specifico per finanziare, con fondi propri della Regione, una rete di servizi alla città da insediare nelle aziende agricole romane; proposta che in prospettiva, se raccolta e fatta propria dagli altri soggetti deputati al governo del territorio, Comune di Roma in primis, potrebbe utilmente concretizzarsi in nuovi strumenti di governance, come il Distretto della Campagna Romana o il Progetto Integrato delle Aree Agricole Romane, per esempio.

L’annunciata pubblicazione da parte della Giunta Alemanno di un bando per reperire anche in zona agricola aree necessarie alla realizzazione di interventi di edilizia sociale nell’ambito del “Piano casa” nazionale ha, tuttavia, indebolito il senso di questa lungimirante proposta, spostando l’attenzione dalle nuove funzioni delle aree agricole, entro cui inquadrare anche l’emergenza abitativa, e innescando invece una disputa sulle previsioni del nuovo PRG della Capitale che ripropone ancora una volta la vecchia visione del rapporto tra aree urbane e aree agricole.

In campo vi sono, da una parte, le posizioni di chi, in nome della resistenza ai processi di “consumo di suolo” e agli interessi degli speculatori del momento, ritiene che i nuovi interventi debbano circoscriversi solo nell’ambito della città compatta, nelle zone a ciò destinate nel nuovo PRG di Roma, anche a costo di riconsiderare le effettive esigenze in termini di nuovi alloggi da destinarsi ai “senza casa”; dall’altra, quelle di chi, considerando necessario e prioritario dar corso alla realizzazione dei nuovi programmi finanziati di edilizia sociale e valutando già insufficiente il potenziale edificatorio residuo che il PRG mette a disposizione (compreso quello delle cosiddette “aree di riserva”), non esclude, se necessario, l’impegno di nuove aree attualmente con destinazione agricola.

Ebbene, da qualsiasi prospettiva si guardi, il dibattito pare ruotare asfitticamente soltanto intorno ai criteri di localizzazione dei nuovi interventi di edilizia sociale finanziati dal “Piano casa”: come se tutta la questione possa risolversi su dove - e chi debba decidere dove -, costruire le “nuove borgate”.

Le straordinarie mutazioni del territorio e della società a cui ormai da tempo stiamo assistendo imporrebbero, invece, una valutazione più integrata del tema del Social Housing e dell’Agricoltura Multifunzionale, come pure del cosiddetto “consumo di suolo”. E in tal senso proponiamo alcune riflessioni.

Innanzitutto bisognerebbe osservare con maggiore attenzione le trasformazioni che negli ultimi decenni stanno progressivamente avvenendo nell’Agro romano, ai brandelli dell’urbanizzazione senza regole che scardinando i tradizionali confini tra città compatta e spazi aperti si stanno via via sovrapponendo, cancellandole, alle articolazioni storiche delle tenute e dei casali della Campagna romana come alle trame degli interventi di bonifica.

L’instabilità dei tradizionali sistemi agricoli generata dalla globalizzazione dei mercati sta, infatti, alimentando importanti fenomeni di dismissione produttiva (dal Censimento dell’Agricoltura del 2000 risulta che la superficie agricola utilizzata era pari a circa il 53% del territorio della Provincia di Roma, rispetto al 66% del 1990, al 73% del 1982, al 78% del 1970, all’85% del 1961!), mentre, obbedendo a un automatico e generalmente spontaneo processo di ricolonizzazione degli ambiti agricoli dismessi, si sta simmetricamente sviluppando la dispersione insediativa, che spinta da altri fattori, tra cui le sproporzionate plusvalenze del mercato immobiliare urbano ma anche una nuova domanda di ruralità, vede spostare migliaia e migliaia di persone, di famiglie, dai centri urbani verso il “vuoto” dello spazio metropolitano.

Dalla concomitanza di questi due principali fenomeni, che mettono in discussione il semplicistico slogan del “consumo di suolo”, dipende quel mix spaziale e funzionale di attività diverse che sta avanzando dagli ambiti di frontiera periurbana. Un mix costituito non solo dalle “villettopoli” dei ricchi; ma anche, e soprattutto, dalle nuove attività rurali svolte da coloro che rifuggono l’impazzimento urbano e dalle nebulose di surrogati abitativi di poveri, di emarginati, di immigrati, di tutte quelle persone tanto sconosciute quanto derelitte che vivono lungo le sponde dei corsi d’acqua, tra i relitti post industriali, nei nuovi ghetti della metropoli contemporanea.

Un Agro romano che non è più campagna e che non può definirsi città, una periferia urbana e metropolitana che è oltre la città e oltre la campagna: un “nuovo mondo” dunque, in cui, sfuggendo al controllo di ormai inadeguati strumenti di governo del territorio, si condensano e annidano problemi spaventosi di organizzazione e gestione dei servizi alla popolazione, di degrado materiale e spirituale, di giustizia e di sicurezza sociale.

L’immagine zenitale dell’area metropolitana di Roma mostra tutti i connotati geografici di questo nuovo scenario, sotto la forma di estese conurbazioni che muovono e si saldano dal perimetro ormai frantumato di Roma Capitale verso il mare, verso i Colli Albani, verso Civitavecchia, lungo le direttrici della Pontina, della Tiburtina e delle altre strade consolari, verso Anguillara Sabazia e il Lago di Bracciano.

Un’immagine che, tuttavia, se guardata ad occhi socchiusi in una visione sgranata e pulviscolare, riporta alla memoria le ipotesi di assetto del territorio romano e regionale elaborate nella prima metà del secolo scorso (dal Programma urbanistico di Roma del 1929, al Progetto di massima del Piano Regionale di Roma del 1930, allo Schema preliminare del piano regolatore della zona da Roma al mare del 1938-39, fino alla cosiddetta Variante del ventennale del 1942), a tutti quei progetti irrealizzati che, per unanime convinzione del pensiero urbanistico del tempo, avrebbero dovuto rispondere ai gravi problemi generati dalle grandi crisi agricole degli anni Venti e dalla crisi economica mondiale all’indomani del crollo di Wall Street del 1929 attraverso la programmata e progettata dissoluzione del confine tra città e campagna, sulla scia dell’esperienza delle garden cities inglesi e del Back to the land dell’America di Roosevelt. Progetti di alto spessore che immaginavano la trasformazione della città e del territorio extraurbano in una confederazione di elementi ordinati e in reciproca relazione e la perfetta coincidenza tra assetto del territorio e organizzazione dei servizi, del welfare state diremmo oggi.

Ma il sogno è finito, e ciò che resta è solo la “marmellata insediativa” delle attuali conurbazioni metropolitane, che contraddicono e annullano l’organizzazione policentrica e reticolare un tempo immaginata.

Eppure, il riproporsi per ciclicità storica di situazioni analoghe a quelle di quasi un secolo fa, dall’instabilità dei sistemi agricoli produttivi alla recente grave crisi finanziaria mondiale, e i segnali di una nuova capacità - come in particolare nel caso dell’Agricoltura Sociale e dell’Agricivismo - di reagire “dal basso” alla staticità degli attuali modelli di organizzazione e gestione del territorio, del Welfare Locale e dei sistemi produttivi, rappresentano condizioni che stimolano ad una riconsiderazione dei principi e degli obiettivi che avevano animato le idee e le esperienze della prima metà del secolo scorso: integrazione tra città e campagna e tra economie agricole e industriali; decentramento e sviluppo policentrico; coincidenza tra politiche di assetto territoriale, di Welfare e, più in generale, di sviluppo socio-economico.

Ecco perché, rispetto a quanto emerge dal dibattito in corso, la realizzazione in forma intensiva di nuovi quartieri di edilizia sociale non ci sembra affatto l’unica risposta possibile, mentre al contrario, così come avvenne al tempo della Città-giardino Aniene e della Garbatella, sarebbe più che mai utile e interessante la sperimentazione di nuove forme di urbanità, a bassa e bassissima densità, anche di autocostruzione, capaci di generare maggiore integrazione tra città e campagna, sfruttando e capitalizzando le contiguità con gli ambiti rurali e agricoli in termini di approvvigionamento alimentare e di scambio di servizi.
Come pure l’incentivazione dell’Agricoltura Multifunzionale potrebbe rivelarsi utile, in termini sia di maggiore equilibrio ecologico tra natura e città, sia di accentuazione dello scambio virtuoso di beni e benefici tra le dimensioni rurali e urbane, sia di consolidamento delle reti di protezione e di inclusione sociale nello spazio metropolitano.

Ma al di là delle diverse ipotesi concrete che si possono fare, quel che preme qui affermare è l’esigenza di rispondere alla domanda di più matura interpretazione dei nuovi fenomeni demografici e sociali in atto, di una più profonda conoscenza del nuovo mondo che abbiamo di fronte, di una riconsiderazione senza veli ideologici di idee belle ma dimenticate e, nel complesso, di una visione del futuro possibilmente più integrata, interdisciplinare e istituzionalmente corale.

Insomma, ci anima la speranza che il tema del Social Housing e quello dell’agricoltura di servizi possano toccarsi, contaminarsi e produrre una scintilla che accenda finalmente una nuova stagione di conoscenza e di pianificazione.

Maurizio Di Mario - Segretario INU Lazio
Alfonso Pascale - Presidente Rete Fattorie Sociali

Articolo letto e riportato da www.abitarearoma.net

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